
Torno a parlare nuovamente del Ciborio, a cui sono collegati fatti accaduti in paese nel lontano 1896, come portato a nostra conoscenza dal professor Lucci sul “Banditore di Amelia” del mese di marzo 2016. Credo farà piacere ai miei paesani conoscere un particolare inedito di quella vicenda. Attingo ai ricordi e alla memoria inossidabile di Quinto Angeluzzi (1930), quando ancora fanciullo conobbe Abele Rinaldi (1867-1952) uno dei caporioni che con altri si ribellò al trasferimento del Ciborio ad Orvieto. È un fatto che Abele gli ha raccontato più volte non per vanteria, ma soltanto per puro orgoglio e fierezza paesana. Così Quinto ricorda con ferrea memoria le sue parole: “Eramo più d’uno e quanno emo visto ‘l carro cò le manze che stea pronto su la strae de’ borgo e ‘l Ciborio che stea a scappà da la porta de la chiesa, al prete (don Ulisse Pini di Alviano) j’emo detto: “Dò annate? arimettetelo dò stea e stete accorti, perché si lo spizzate, ve spizzamo la capoccia”.
