Il castello di Porchiano nel Medioevo

Porchiano, o Castrum Fortiano, VI secolo d.C., era uno dei diciotto castelli del territorio di Amelia, che cercò di mantenere a lungo la sua libertà difendendosi dai potenti vicini. Probabilmente fu devastato dai Monaldeschi di Orvieto nel 1237, perché si era alleato con Amelia contro Lugnano, già alleato di Orvieto.

Il Castello era legato ai signori di Alviano e al Comune di Amelia, anche per i comuni interessi economici, come è provato dai documenti di archivio, tra il 1266 e i primi anni del 1300. Non mancarono aspre lotte fra gli Amerini e gli abitanti di Porchiano, lotte nate ed alimentate dalle tensioni fra i Colonna e gli Orsini.

Il Comune di Amelia si schierò prima con i Colonna, poi con gli Orsini e, dopo complicate vicende, ottenne la giurisdizione su Porchiano. Con il patto di pace venne stabilito che Porchiano non dovesse ricostruire le mura.

Nel 1317 Porchiano si sottomise ad Amelia ed il Sindaco del Castello giurò fedeltà in pace e in guerra. L’atto è del 1318 e questa operazione di sudditanza fu guidata dal Capitano del Popolo Giacomo Colonna.
Nel 1328 Porchiano non volle eleggere il Sindaco designato ad consegnare annualmente la custodia del Castello alla vicina e forte città, in segno di ribellione.
Nel 1376 il Castello venne tolto ad Amelia dalla Chiesa e il priore di San Giovanni Gerosolimitano, ordine cavalleresco religioso, Bartolomeo Caraffa, fu nominato Castellano di Porchiano.

Il Castello tornò ad Amelia durante il pontificato di Bonifacio IX, Pietro Tomacelli.

Nel 1412 Andrea Fortebracci si accampò con le sue truppe nei pressi di Amelia per minacciare la città che aveva sottratto Porchiano alla Signoria degli Alviano, ma non riuscì nel suo intento.
Tra il 1413 e il 1414, in tutto il territorio si accesero lotte fra i Tartaglia, il Fortebracci e gli Orsini.
Nel 1416 gli Orsini decisero di abbandonare il Castello che tornò nell’orbita di Amelia: in questa occasione fu abbattuta la Rocca ed il torrione di difesa.

Dopo molto tempo fu ristrutturato il torrione a scopo difensivo.
Nelle Riformanze si legge che Porchiano partecipava al torneo del Testaccio a Roma, la domenica seguente le Ceneri: Amelia inviava giostranti, Porchiano due anelli di argento da sette fiorini e un Bravio d’oro.

Nel 1433 Niccolò Fortebracci minacciò Amelia con la presenza delle sue milizie e ordinò a Porchiano di allontanare il Vicario del Comune di Amelia, di accettare un Vicario di sua fiducia, poiché il Castello era divenuto proprietà di Gualtiero de Zafoneris. Michele Attendolo, qualche tempo dopo, sottomise Porchiano ad Amelia.
Nel 1435, Bartolomeo Tomasi da Bologna e Gherardo Celli da Corneto organizzarono la difesa di Porchiano contro gli Alviano, con 100 pedoni, assoldati dal Comune di Amelia. Per mettere fine alle tensioni, Amelia inviò il Vescovo Filippo Petruccioli a Firenze, dove si trovava il Papa Eugenio IV, per far sì che cadessero le rivendicazioni su Porchiano da parte degli Alviano, rappresentati da Tommaso, Vescovo di Camerino. Intervenne in favore di Amelia il francescano Fra Apollonio Buccio, di Bologna.

Le lotte fra gli Orsini e i Colonna, nel 1436, si riaccesero e il legato pontificio Giovanni Patriarca di Alessandria chiese al Comune di Amelia 100 fanti e 25 balestrieri, per la difesa delle terre tolte a Lorenzo Colonna.

La vita civile.

Il Castello di Porchiano, per la sua strategia posizione, fu teatro di lotte, ma la vita civile era codificata da leggi espresse dagli Statuti.
Gli Statuti, divisi in cinque libri, si aprono nel primo codice e nel secondo con la formula “Ad onorem et reverentiam di Dio, della Vergine, dei Santi, in particolare di San Simeone, patrono del Castello”.

Il Castello era amministrato e governato dal Vicario, dal Camerlengo, dal Consiglio Generale, dai Massari, dai Terminatori, dagli Stimatori e dal Castaldo. Il Vicario percepiva 20 libbre al mese, di bimestre in bimestre, ogni semestre 2 ducati, il cui valore poteva essere corrisposto in denaro e in frumento.

Il Castello era cinto da mura, con torrioni semicircolari e guardiola, aveva una sola porta, dove tutti gli abitanti erano chiamati a fare la guardia con l’alabarda. La porta veniva chiusa al tramonto, al suono delle campane, secondo l’usanza del tempo.

Nella parte interna delle mura correva uno spazio libero, della larghezza di 4 piedi, dove non potevano essere costruiti edifici o fatti orti; ai trasgressori erano comminate multe in denaro. Lo spazio doveva facilitare il cambio dei turni di guardia e dalla via ad anello si diramavano tutte le vie del Castello, fino al centro urbano. La via principale era larga 6 piedi, le altre 4 piedi; le case a due piani erano affiancate le une alle altre e gli spazi accanto alle case erano pubblici.

Chi abitava nella parte occidentale del Castello poteva tenere un orto, purché fosse ben curato e coltivato; sempre nella parte occidentale erano i molini da olio e da grano, la via del mercatino dove si svolgevano i commerci e si aprivano le botteghe.

Tutte le vie riconducevano alla piazza, dove si affacciavano: il palazzo del Vicario, del Consiglio e dei Notabili, dove venivano letti i bandi e si riunivano gli uomini. Nel mezzo della piazza vi era un grande pozzo, che non era sempre sufficiente a soddisfare il fabbisogno degli abitanti: così fu costruita anche una cisterna.
Severe regole disciplinavano il consumo dell’acqua destinata all’uso domestico; inoltre era vietato lavare la biancheria presso il pozzo. Nel borgo c’erano le fontane murate, alimentate dalla cisterna.

Il cuore religioso era costituito dalla Chiesa di San Simeone, protettore del Castello.

Nella chiesa si riuniva il popolo per le cerimonie religiose e per rendere giustizia alle donne e ai minori. Il Vicario amministrava la giustizia, sedendo in chiesa, su uno scanno.
La chiesa venne edificata, forse, nel XII secolo e, secondo la leggenda, furono usate le pietre scolpite di Agoliano. Nella chiesa, in due sepolcri sotto il pavimento della navata centrale, venivano tumulati i morti del Castello. Nella chiesa stessa è conservata una artistica Madonna di un pittore del Quattrocento e, negli ultimi anni, è emerso un affresco in parte scialbato, con una Madonna probabilmente di Pier Matteo d’Amelia o comunque di un artista che usò i suoi cartoni: l’attribuzione non è stata ancora fatta.

Interessante è la chiesa di Santa Cristina, fuori le mura, decorata da affreschi del 1400, ristrutturata quando venne portata a Porchiano una mattonella del Preziosissimo Sangue del miracolo di Bolsena, per l’interessamento del Vescovo Bartolomeo Farrattini.

L’eremitaggio della Santissima Trinità, tra il Castello di Porchiano e quello di Lugnano, conserva affreschi del XV secolo.

Gli abitanti avevano l’obbligo di tenere pulite le vie davanti la propria abitazione, i fossati di scolo, non potevano formare letamai e tutti i venerdì di marzo dovevano prendersi cura della ripulitura delle fontane ed era vietato loro di stendere la biancheria lungo le vie e sulle mura.

Nell’interno del Castello era permesso allevare animali domestici, chiusi nelle stalle; due volte al giorno percore e capre potevano essere portate ad abbeverarsi presso le fontane “non murate”; nelle altre, dette “murate”, si abbeveravano le “bestie grosse”.
Alla fonte di Iumellano, “bona da bere”, non potevano andare gli animali. Ai maiali era proibito abbeverarsi alle fonti ed entrare nel fossato intorno al Castello.

Le strade esterne al Castello eranon vigilate dai “massari viari”; era vietato costruire fuori le mura, se non rispettando la distanza stabilita dalla legge.

L’economia di Porchiano era agricola-rurale: si coltivavano olivi, noci, fichi, noccioli, frumento, vite, legumi, alberi da frutta e canapa. Gli olivi erano protetti da leggi speciali, le quercie erano annoverate fra gli alberi domestici, utili per l’allevamento dei maiali. La vendemmia iniziava a fine settembre.

Le attività commerciali erano regolate dalle leggi degli Statuti: la fornaia doveva cuocere bene il pane; i macellai non vendere carne di pessima qualità, altrimenti incorrevano in multe in denaro; la carne era venduta due soldi in meno del prezzo della carne messa in vendita in Amelia; le carni morticine dovevano essere vendute fuori delle mura del Castello.
L’attività del piccolo commercio, economia chiusa, non usciva dalle mura; si faceva eccezione per i fichi che venivano venduti alla vicina città di Amelia.
Le monete in uso erano: baiocchi, soldi, denari, libbre e fiorini.

Coloro che si dedicavano agli studi costituivano una categoria protetta, non erano soggetti a tasse e liberi da qualsiasi legame con la comunità.
Alle donne era vietato stendere contratti, donare o vendere le loro proprietà senza il consenso del marito o del padre, entrare nel palazzo del Vicario e mostrarsi in cerimonie pubbliche; ma era loro concesso di fare testamento.
Venivano severamente puniti gli adulteri e coloro che avevano un linguaggio licenzioso.
Il Consiglio eleggeva le guardie che dovevano vigilare sul comportamento degli abitanti. Gli usurai, gli eretici, i pazzi e le persone ritenute in possesso di “poteri incantatori”, maghi o maghe, venivano allontanati dal Castello.

Il Vicario aveva il compito di riportare la pace in occasione di controversie fra parenti o vicni; era infatti indispensabile l’unione nel Castello per affrontare, nel migliore dei modi, i pericoli esterni.

Porchiano si presenta, dunque, come una comunità civile ed ordinata nella sua vita quotidiana: un Castello interessante, che conserva l’originale impianto medioevale.

(Articolo di Igea Frezza Federici, apparso in tre puntate su Il Banditore di Amelia di dicembre 1994, gennaio e febbraio 1995, trascritto da Marcello Paolocci)

2 pensieri su “Il castello di Porchiano nel Medioevo

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